domenica 10 luglio 2016

Carne in scatola semovente

Se è vero che la famiglia a cui faceva capo l'ex Gruppo FIAT è una delle poche italiane a far parte dell'èlitè che decide le sorti (almeno) del mondo occidentale, ecco che risulta chiara ed indicativa la filosofia costruttiva che caratterizzò le auto proposte già in epoca fascista che almeno giustificava una linea autarchico-popolare.

Col nobile scopo di motorizzare le classi meno abbienti, fu avviata la costruzione della prima 500, subito popolarmente denominata "Topolino" facendo un omaggio profetico a quella cultura che presto avrebbe soppiantato la nostra. Tecnicamente, era frutto di un rimaneggiamento tecnico della precedente 508 mirato al risparmio ed all'eliminazione del superfluo, come aveva insegnato Henry Ford col suo modello T.
Il risultato fu una vetturetta simpatica e robusta ma oggettivamente ridicola, con degli spazi abitativi tremendamente angusti anche se è vero che la maggioranza degli italiani di allora, non avendo
ricevuto da bambini un'alimentazione iperproteica come quella di oggi, era di costituzione esile e superava di rado il metro e sessanta.
Ad ogni modo, le sue dimensioni interne facevano trasparire la volontà di ridurre lo spazio vitale degli utenti in grado di comprarsela e non dico questo a caso perché dal punto di vista economico, costruire un'auto tecnicamente identica ma un po' più grande non grava in maniera significativa sui costi di produzione, anche se è vero che l'Italia è sempre stato un importatore netto di materie prime.

Anni dopo, fu concepita una "trappola" automobilistica ancora più estrema denominata, con la fantasia che ha sempre contraddistinto il Gruppo per i nomi, "Nuova 500".
Vagamente ispirata all'Auto del Popolo per eccellenza, la Volkswagen detta "Maggiolino", estremizzò la filosofia che aveva generato la Topolino utilizzando un piccolo motore a soli due cilindri collocato al retrotreno per risparmiare un albero di trasmissione, raffreddato ad aria forzata, privo di un vero filtro dell'olio in quanto centrifugo e perfino dell'elettrocalamita d'avviamento, sostituita da un tirante a mano.
Con questa millantata "auto", la FIAT cercò deliberatamente di ridurre la popolazione italiana escogitando veri insulti alla sicurezza stradale, posizionando anteriormente il serbatoio della benzina, facendo passare i tubi d'alimentazione proprio sopra i cavi delle candele e rinunciando alla sincronizzazione delle marce, particolare quest'ultimo che avrebbe reso più difficile scalare le marce per rallentare nel malaugurato caso di un cedimento dell'unico circuito frenante. Non parliamo poi delle "prestazioni", talmente scarse da non fornire alcuna sicurezza attiva in casi d'emergenza.
Per renderla ancora più pericolosa, era stata dotata di acceleratore a mano privo di molla di richiamo
Tra l'altro non è affatto vero che le N.500 consumassero pochissimo; disponevano di motori a bassissima efficienza e consumavano relativamente poco solo se si andava pianissimo: sfruttando invece al massimo le scarse prestazioni per inserirsi nel normale traffico veicolare, i suoi consumi non erano affatto contenuti.
Come per la vecchia 500, era dotata d'obbligo di tetto apribile essendo la ventilazione interna assolutamente scarsa. Dalla seconda serie, che abbandonò anche le portiere incernierate dietro, l'apertura del tetto fu ridotta non includendo più il lunotto.

La 126 fu la 500 del nuovo corso FIAT, quello che caratterizzò il periodo in cui il Gruppo fagocitò quasi tutte le altre industrie automobilistiche nazionali (Autobianchi, Lancia e perfino l'Alfa Romeo che era a capitale statale).
Tecnicamente, era solo una Nuova 500 ridisegnata con qualche concessione allo spazio interno ma ereditava quasi tutti i suoi difetti. Verso la fine della sua carriera, dopo che gli impianti di produzione furono spostati in Polonia, qualcuno si ricordò che già la 500 era stata prodotta in una pratica versione giardinetta ricorrendo ad un motore i cui cilindri erano disposti orizzontalmente. La soluzione fu applicata anche alla 126 rendendola molto più pratica dotata di portellone posteriore, anche se continuò ad utilizzare la stessa scocca invece di essere allungata come la 500 Giardinetta. Questo per rimarcare l'attenzione progettuale della Casa nei confronti dei suoi clienti meno abbienti. Ma all'epoca la concorrenza giapponese era inesistente.

Con la Uno, il Gruppo credette di aver realizzato la Soluzione Finale realizzando una specie di auto robusta e protettiva come un guscio d'uovo sfondato, infatti fu un'auto che mieté un numero impressionante di vittime anche se la cosa non fu mai mesa in risalto dai media.
Per andare a colpo ancor più sicuro ne fu approntata perfino una versione turbo che chi ha guidato ricorda ancora con sgomento.

Successivamente, per i suoi scopi la Casa elaborò altre strategie.