giovedì 14 luglio 2016

Accentrare o decentrare?

Nell'ottica di completa dissoluzione dello Stato inteso come emanazione dei propri cittadini ed unico ente fornitore e garante dei servizi di primaria importanza, a partire dal colpo di Stato del '92 abbiamo assistito alla liquidazione coatta al peggior offerente delle principali industrie di Stato a cominciare dallo smantellamento guidato (da Romano Prodi) del colosso industriale IRI (avviato all'epoca a diventare il più grosso gruppo industriale del mondo, pericolo scongiurato dai nuovi governanti con le "mani pulite").

Dall'epurazione di quella classe politica, colpevole di
voler arginare lo strapotere americano in Italia e tutte le altre ingerenze estere nell'andazzo del Paese, rimase un unico partito autorizzato per legge non scritta a continuare a percepire finanziamenti illeciti come se nulla fosse accaduto, in quanto affiliato da tempo, almeno a partire dalla morte (per qualcuno fu omicidio) di Enrico Berlinguer, a quei poteri forti nazionali ed extranazionali che oggi più che mai controllano il corso degli eventi nel nostro Paese.
Basta considerare che in pieno McCartismo, il nostro attuale Presidente Napolitano (non ditemi che Mattarella conta qualcosa, per favore) pur sedicente comunista andava e veniva continuamente dagli USA senza problemi! Andava a prendere ordini, certo, ma anche i soldi che il suo partito non percepiva più dall'URSS.

Saltando ad oggi, gli effetti pratici ed economici di tale dissoluzione per il cittadino si possono apprezzare in tutti gli aspetti quotidiani della nostra vita: dalla crescente difficoltà di procurarsi un reddito ai disservizi pubblici, dal costo della vita all'insicurezza sociale, dall'inefficienza delle strutture assistenziali a quella degli uffici pubblici.
In crisi di liquidità, non solo per aver svenduto le industrie nazionali ma anche e soprattutto per aver regalato su di un piatto d'oro alle banche private l'emissione della moneta, lo Stato, ormai rappresentato e rappresentante solo da un inefficiente apparato burocratico e parassita, per salvare sé stesso non ha altra soluzione che spremere ancor di più i propri cittadini inasprendo il prelievo fiscale - che in molti casi supera la capacità contributiva, violando un fondamentale articolo della Costituzione - e ridurre il costo dei servizi, sia riducendo di fatto i servizi, sia chiudendo sedi periferiche prediligiendo i meno costosi (ma solo per lo Stato) accorpamenti.

In quest'ottica, ad esempio nella realtà cilentana, si è assistito alla chiusura di diversi uffici postali attuata, peraltro, senza neanche potenziare gli uffici rimanenti ma solo deviando forzatamente l'utenza a servirsene.
Ultimamente, sono venuto a sapere dell'intenzione di chiudere baracca a Vallo della Lucania e trasferire tutti gli uffici del Tribunale a Salerno, facendo ripiombare la geografia funzionale della Giustizia in zona a schemi pre-borbonici.

Il futuro, un futuro dalla parte del cittadino, non può essere questo: l'informatica ci permette di frazionare gli uffici con grande facilità e invece di chiudere gli uffici postali, essi andrebbero moltiplicati, soprattutto oggi che offrono servizi finanziari al pari delle banche: com'è possibile che lo Stato perda un'occasione del genere? E' chiaro che la volontà non è quella di rendere la vita facile al cittadino ma tutto l'opposto: creare deliberatamente disservizi e sofferenze.

Frazionare gli uffici ed i servizi non accentrarli!
Forse aumentarebbero i costi per lo Stato ma diminuirebbero fortemente per la società, sia sotto forma di tempo sprecato per recarsi ad un lontano ufficio, sia per il costo del viaggio, il maggior traffico e l'inquinamento che ne deriva.
E se la Società risparmia e sta meglio, alla fine anche lo Stato, per quanto inutile, parassita e disinteressato ai suoi cittadini, ne beneficia.
Li può spremere ancora di più.